L’ETÀ DELL’ORO DEL CINEMA
Con questo titolo non ci si riferisce ai fratelli Lumière né a George Méliés né all’espressionismo tedesco né alla Hollywood della prima metà del ‘900 né al neo-realismo italiano né alla nouvelle vague francese né a Welles, Hitchcock, Kubrick, gli effetti speciali e la fantascienza, Nolan e Villeneuve.
Con questo titolo non si intende parlare del Cinema con l’iniziale maiuscola, ovvero il mondo del. Qui voglio proprio indicare il cinema come luogo, come sala mezza-buia, come spazio ormai fatiscente che conta pochissimi presenti ed è sempre sull’orlo di chiudere in battenti. Questa è l’età dell’oro del cinema: niente code, niente ruminare di pop-corn, niente luci violacee dei telefoni, niente commenti fuori luogo, niente goffi tentativi di anticipare la sceneggiatura, niente cafoni imbellettati (ancora sazi di Old Wild West) che dicono che minchia però il finale così mi ha deluso, cioè è rimasto in sospeso. Siamo soli, specie di pomeriggio, specie se il film non riguarda i super eroi. Abbiamo uno schermo mastodontico a disposizione e possiamo scegliere qualsiasi posto in platea e il sonoro ci avvolge e ci fa tremare e la pubblicità è ridotta all’osso perché non conviene più pagare quegli spazi se tanto non ci sono spettatori.
L’età dell’oro di ogni arte si ha sempre al culmine della sua decadenza e i divanati zappatori (passati dalla zappa allo zapping), divoratori di serie tv tra le più brutte sono i barbari che ci consentono questo piacere ormai proibito e aristocratico: andare al cinema.
Rimane un unico, piccolo difetto: a un certo punto, si spengono le luci in sala e si accende lo schermo. Rimanesse buio.