QUANDO CHIUDE UNA LIBRERIA, GODO

Premessa

Leggo, in media, 4 o 5 libri al mese: di ogni genere, narrativa o saggistica o graphic novel che sia. In casa ho fatto costruire una libreria gigante che occupa tutto il corridoio ed è il mio tesoro, non mi interesso d’altro, metto i libri in ordine alfabetico e mi esalto quando un autore ritrova gli altri suoi libri senza che essi siano separati dagli stipiti in legno. Ammazza che sfigato che sono, a pensarci. Non usufruisco delle meravigliose gratuite democratiche biblioteche perché amo il feticcio libro, l’oggetto libro. Acquisto libri, anche gli stessi ma in edizioni diverse, in libreria, su Amazon, dalle bancarelle, dalle librerie che vendono usato (non è raro vedermi rincasare con 30 o 35 libri alla volta). Ma ho anche il Kindle e siccome “la musica contemporanea mi butta giù” (Franco Battiato, cit.), ascolto pod-cast, conferenze, dibattiti, audio-libri, puttanate varie.

Svolgimento

Poi ogni tot si legge un articolo riguardante una libreria che chiude, quasi sempre rilanciato da persone che poi, in concreto, per la cultura non fanno nulla (ovvero curano i sintomi con gli antidolorifici anziché le cause profonde del male) e via con la pletora degli indignati che scaricano la colpa su Amazon. Eppure, gli umani di cultura dovrebbero essere favorevoli, e non contrari, alla maggiore e più veloce e più facile disponibilità di testi, di accessi al sapere (ma è un errore noto e consolidato confondere forma e contenuto, mezzo e messaggio, strumento e concetto).

Vi immaginate una sommossa popolare per boicottare i caratteri mobili di Gutenberg? Si licenzia anche l’ultimo amanuense:  Gutenberg di merda!

Stanno cambiando i tempi? Sì, bravi, ve ne siete accorti.

Non ho visto nessuna indignazione quando diversi maniscalchi del centro hanno chiuso bottega. Nessun Amazon all’epoca: semplicemente i cavalli e le carrozze venivano sostituiti dalle automobili.

C’è una sola, sempre la stessa, sempre amarissima, sempre inaccettabile, conclusione: il tempo scorre, le cose cambiano, la nostra mentalità no: si ferma al noi ragazzi, eterni, convinti di aver vissuto tempi migliori, di ascoltare musica migliore, di aver avuto genitori migliori, figli migliori, donne migliori, uomini migliori. Ah, noi che scrivevamo lettere e cartoline, ci esercitavamo in corsivo, come scimmie, su quaderni e quaderni, leggevamo libri di carta, passavamo ore in libreria! Ma quando mai.

Aggiungo: quando un negozio che vende libri chiude, a nessuno vengono mai in mente altre cause possibili, indipendenti dall’andamento degli affari: i figli dei proprietari vogliono semplicemente fare altro.

L’unica distinzione che bisognerebbe fare non riguarda il luogo, fisico o figurato, in cui si acquistano i libri, ma il più importante discernimento tra cosa sia Letteratura e cosa solo intrattenimento. Non importa se analogico o digitale, se comprato in negozio o arrivato tramite corriere. E il vero lavoro di chi si occupa di cultura dovrebbe essere quello di fomentarne il bisogno, alzare il livello di comprensione del testo e l’attitudine all’ approfondimento di un pubblico più vasto, spingere i prodotti qualitativamente troppo alti per appartenere al main stream.

Invece le madonne penitenti che vedo sui social, si masturbano a quattro mani perché c’è la coda al Salone del Libro, record di presenze e quant’altro, e poi piangono perché chiudono le librerie. Tutta fuffa, tutta superficie, tutta faciloneria.

Meno eventi più cultura; meno social più silenzio; meno retorica più efficacia; meno esibizionismo più lavoro; meno post più disamine; meno like più dibattito.