ALTRO CHE SERIE A !

Come è giusto che sia, nonostante le consuete pose da intellettuale di chi ritiene sia una questione superflua in tempi di pandemia, si discute molto intorno alla ripresa del campionato di Serie A.

Come in molti altri settori, chi comanda è impreparato e ha la sola scusante di dover decidere per qualcosa che in Italia scalda gli animi come nient’altro, ad eccezione delle discussioni sugli ingredienti e la preparazione della carbonara: le tv, i soldi in ballo, i posti di lavoro, gli sponsor, la funzione sociale del pallone, lo svago delle plebi.

E tuttavia stiamo parlando di Serie A, di atleti professionisti che hanno continuato ad allenarsi nelle loro belle case, di una pausa anomala ma non eterna, di una stranezza che forse regalerà ai calciofili un’estate bellissima e inimmaginabile. Il mio pensiero più sentito va quindi, invece, allo sport meno che dilettantistico: quello amatoriale.

La vera tragedia calcistica conseguente al lockdown riguarda le migliaia di migliaia di poveri cristi che con la partita di calcetto del giovedì sera trovavano un’oretta di sollievo dalle angherie della vita. Il giovedì sera di libera uscita, la concessione governativa di mogli e fidanzate, il sospiro di sollievo lontani dai figli, dalle questioni lavorative, dalle commissioni quotidiane, il vero melting pot che annulla le distanze sociali e che mescola ingegneri e imprenditori con manovali e studentelli. 

Per alzare i toni della patetica sfida che non mette nulla in palio, se non un onore invisibile e tutto nostro, sulla chat che di solito ospita donne nude e volgarità di vario genere, vengono diramate le formazioni già nel pomeriggio e si accendono le proteste e le richieste: i portieri bravini sono i più corteggiati, l’incubo è dover girare in porta. Qualche menomato chiede che nella sua squadra vengano convocati almeno in sei, avesse bisogno di un cambio: il senso di colpa di uscire dal campo e lasciare gli altri in 9, pur strappati e in lacrime per il dolore, non lascerebbe più vivere. E poi le pettorine, una gonfiata al pallone anti-rimbalzo, fedele compagno degli scarsi tecnicamente che credono così di saper stoppare la palla, e si comincia, fino alla temuta sirena. Ma non è finita: due bestemmie nello spogliatoio, il rituale dei soldi e del non avere il resto, il panino in birreria: possibilmente che abbia i tavoli appiccicosi e una clientela che non si formalizza: chi è venuto al campo già cambiato non vuole sedersi e mangiare sentendosi a disagio.

Quando si arriva al campo e, fingendosi professionisti, si abbozza una specie di riscaldamento (movimenti automatizzati che, più che prevenire infortuni gravissimi, ci ricordano quando anche noi abbiamo giocato seriamente e a buoni livelli), abbiamo tempo per guardarci intorno, osservare quelle partitelle patetiche che stanno andando in scena: dei bifolchi ciccioni o magrissimi, scoordinati e mal vestiti con le magliette dei propri idoli, come fossimo bambini delle elementari mai cresciuti, per fortuna, con tutori al ginocchio, panciere, ernie, protrusioni, vecchi acciacchi, paura di dover chiedere la mutua per uno scatto di troppo, un allungo, una scivolata disperata; portieri scandalosi, scarpe che calzano piccole o grandi purché acquistate in sconto da Decathlon, adrenalina Tardelliana per un goal inutile, facile, immediatamente recuperato dagli avversari.

Io penso che il vero calcio sia lì, la vera passionaccia che fa sconfiggere stanchezza, dolori, infermità, lesioni; il vero amore che ci fa andare fuori di testa se il meteo minaccia tempesta all’ora in cui abbiamo prenotato (andiamo comunque al campo e poi vediamo, mio cugino dice che loro hanno giocato, dovrebbe smettere in venti minuti, dove lavoro io non sta piovendo, dove lavoro io c’è il sole); l’unico momento di epica per noi poveri cafoni di una Fontamara sportiva della quale ci sentiamo protagonisti ogni settimana, disposti a passare una notte insonne tra crampi, nervi che friggono, schiena immobile, acido lattico andato a male, muscoli inesistenti, difficoltà a chinarci il giorno dopo per legarci le scarpe e andare a lavoro: a lavoro, a raccontare ai colleghi le azioni della scorsa serata, i goal, il pareggio all’ultimo minuto che se Beppe non fa la cazzata andiamo sul 7 pari e lì cambia tutto.

Altro che Serie A, per cortesia, riaprite i campetti a 5.